Il corso monografico di quest’anno “Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Traiettorie istituzionali del cambiamento sociale: una prospettiva sociologica” presenta, indaga e ragiona sulla “Convenzione di Istanbul” (IC) nei suoi contenuti giuridici e nei suoi riflessi socio-culturali assumendola come il punto più avanzato delle traiettorie istituzionali internazionali di cambiamento sociale riguardo alla diffusione di una condivisa sensibilità culturale e all’implementazione politica e giuridica di misure di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne e contro la violenza domestica.
Prendendo in esame sia i fronti di conseguimento e implementazione che quelli di ritardo, riserva o rifiuto, in Italia e nel mondo, il corso problematizza il concetto di “genere” in prospettiva sociologica e giuridica, considerando altresì aspetti di tipo storico-linguistico e simbolico-culturale.
Con particolare attenzione agli sviluppi più recenti di un ampio e complesso dibattito politico istituzionale e culturale fra istituzioni politico-giuridiche, partiti politici, movimenti sociali e accademia, il corso intende offrire agli studenti una riflessione critica e ponderata sull’ampiezza delle questioni oggi in campo e delineare gli scenari che sono implicitamente ed esplicitamente connessi alla IC, alcuni dei quali sembrano andare oltre, se non addirittura contro la tutela e la difesa delle donne dalla violenza.
Non da ultimo, nelle questioni riguardanti la IC possono misurarsi l’ampiezza e l’articolazione della relazione esistente tra istituzioni giuridiche, sicurezza e mutamento sociale.
Il corso presenta una contestualizzata riflessione sull’ampiezza e l’articolazione della relazione esistente tra istituzioni giuridiche, sicurezza e mutamento sociale.
Come dimostrato dal celebre studio Women, violence and social change (Emerson Dobash & Dobash 1992), il problema della violenza sulle donne costituisce un punto di osservazione peculiare per interrogare sociologicamente le traiettorie del cambiamento sociale nell’età contemporanea e verificarne empiricamente le dinamiche istituzionali e socio-culturali assunte nella loro problematicità. La "Council of Europe Convention on Preventing and Combating Violence Against Women and Domestic Violence" (per brevità “Convenzione di Istanbul” o IC) è, in tale prospettiva, il punto più avanzato delle traiettorie istituzionali internazionali di cambiamento sociale riguardo alla diffusione di una condivisa sensibilità culturale e all’implementazione politica e giuridica di misure di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne e contro la violenza domestica (fra altri, cfr. McQuigg 2017; Niemi, Peroni & Stoyanova eds. 2020).
Accanto a una generale e maggioritaria accoglienza della IC in UE e a una diffusa accoglienza nel mondo si registra, però, un ampio fronte di opposizione a essa (cfr. fra altri Verloo 2018). La principale argomentazione di chi si oppone e contrasta la IC riguarda la tesi secondo cui tale strumento legislativo, dietro il pretesto della violenza contro le donne, consentirebbe, in ragione della sua vincolatività sugli ordinamenti nazionali, di introdurre l’ideologia o teoria gender nei rispettivi contesti socio-culturali. Tali opposizioni provengono in massima parte da movimenti e partiti di destra, cattolici e conservatori e l’ampia letteratura scientifica e la gran parte della pubblicistica su questi temi si concentra sull’analisi di questi gruppi sociali e dei loro orientamenti valoriali e ideologici.
Un’attenta considerazione critica storico-linguistica, giuridica, sociologica e filosofica della questione, però, invita a una più precisa e ponderata analisi. Il concetto di “gender”, in generale e più specificamente in talune espressioni che lo impiegano, è variabile e non univoco negli usi nel tempo e, pur prestandosi certamente a strumentalizzazioni politiche e ideologiche dal campo politico conservatore cattolico e di destra, rinvia a temi e problemi di ampia e complessa articolazione sul piano politico, giuridico e socio-culturale.
Occorre pertanto considerare attentamente tale spettro di significazioni e usi del termine “gender” a partire dal suo contesto linguistico di provenienza (english-speaking context), in cui sono attestati storicamente diversi significati e impieghi. Dall’analisi in chiave storico-linguistica, socio-antropologica e dei “Gender Studies” emerge il fatto che la questione ha una diretta ricaduta obiettiva sul piano dell’accoglimento del termine “gender” da parte degli ordinamenti giuridici nazionali, come il caso dell’Italia attesta sul piano storico, e si complica con la nozione a essa correlata di “gender identity”.
Quest’ultima concezione, di cui si vedrà l'essere stata intesa come diritto umano e accolta in diverse legislazioni nazionali, ampiamente promossa dai movimenti trans-gender, considerata sul piano delle dinamiche di cambiamento sociale e del ruolo del movimenti sociali, è sempre più al centro di un acceso dibattito internazionale dai toni fortemente polemici. La sua traduzione politica e giuridica non manca di mostrare un ampio spettro di criticità sul piano della vita sociale e del funzionamento degli ordinamenti giuridici, fra cui taluni aspetti connessi alla tutela stessa delle donne e alla loro protezione dalla violenza maschile. La questione, in tali termini, è giunta a ripercussioni dirette sulla IC rispetto alla quale tale concezione è fatta oggetto di obiezioni in Italia e nel mondo formulate da più parti fra cui anche da movimenti femministi che si affiancano, seppur per motivi ovviamente molto diversi e secondo orientamenti valoriali e ideologici opposti, alle opposizioni provenienti sullo stesso tema dai movimenti e dai partiti di destra, conservatori e cattolici di cui si è detto. Non stupirà - è notizia recente in una situazione in continuo e a tratti convulso mutamento - rilevare la lettera aperta, rivolta da associazioni e movimenti femministi a un gruppo di parlamentari di orientamento misto di sinistra e di destra, in cui si formula esplicita richiesta al Parlamento europeo di agire in tale direzione.
È questo solo l’ultimo atto di una questione che sembra destinata a continuare in una preoccupante logica di “culture war” (Hunter 1992) la cui ampiezza e le cui conseguenze vanno considerate con attenta cura perché si estendono anche al di là delle importanti e già ampie questioni qui considerate. L’attuale dibattito pubblico politico e civile si mostra nei termini di una “gender war” (Berthet 2022) e di una estrema “politicizzazione del genere e della democrazia nel contesto della IC” (Krizsán & Roggeband 2021) che rende manifesto il rischio che le traiettorie culturali e istituzionali di cambiamento sociale, promosse da una risposta ampiamente partecipata e condivisa in merito al tema della violenza contro le donne, entrino in una rotta di collisione con istanze e traiettorie culturali e istituzionali contrarie a una generalizzazione su fronti diversi o lontani dalle originarie finalità, che ne potrebbero pregiudicare i risultati importanti finora raggiunti con il rischio di comprometterne l’applicazione e ogni ulteriore implementazione.
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